Sette ore. Il tempo che più o meno impiegherà l’ultimo (dei 3500 provenienti da tutta Europa) dei poco allenati che domani percorrerà 143 km di fatica e festa in Terra Orobica.
Pochi minuti. Il tempo di una storia di instagram di un imprenditore di successo della Valle che tenta di dilatare quell’istante riempiendolo di rabbia per il disagio creato per due ore di chiusura del traffico della strada principale Brembana.
Tra i valori di noi bergamaschi non c’è di certo l’ospitalità, nemmeno in molti addetti del settore turistico. Ci abbiamo fatto pace soprattutto perché ci vengono invece riconosciute la solidarietà (siamo capitale del volontariato con un fiorire continuo del terzo settore) e la perseveranza nella fatica. Tutte caratteristiche legate alla nostra storia di montanari, allevatori, coltivatori, minatori e poi anche costruttori.
Dentro la giornata di domenica, dietro alle polemiche della storia di instagram (non più reperibile in rete), si annidano temi su cui si è moralmente obbligati interrogarsi e scegliere. È così che è nato un confronto tra noi ciclisti dell’associazione Popolare Ciclistica, partendo dal lamento di questo imprenditore che raccoglie a dà voce di fatto a una nemmeno latente e circoscritta insofferenza verso i ciclisti, verso gli ultimi che fanno rallentare le esigenze frenetiche di oggi, verso le piccole e sporadiche scelte politiche di promozione e facilitazione di qualche evento. Cerchiamo ora di mettere in fila i pensieri riportati in queste righe per allargare la riflessione attraverso i mezzi di comunicazione.
Partiamo con il condividere la passione che lega la nostra associazione: andare in bicicletta. Andare in bicicletta è educarsi al lento. Andare in bicicletta è donarsi il tempo per guardare dove passi. Andare in bicicletta è educare lo sguardo alle cose che non vanno lungo le strade. Andare in bicicletta è muoversi senza consumare energie ulteriori a quelle che il fisico può generare. Andare in bicicletta e farlo nelle Valli bergamasche è educarsi alla fatica come parte sostanziale della vita. Andare in bicicletta è allenarsi al selvaggio, allo scomodo, al rude, all’inospitale (l’imprenditore usa wild, ma noi crediamo che le parole italiane sappiano raccontarci qualcosa in più). Andare in bicicletta è imparare nuove strade di collegamento (ad esempio di raggiunge la valle Brembana passando la Nembro, Selvino, Bracca, Serina, Dossena…) fino a costruirsi le proprie mappe di vissuto del territorio. Andare in bicicletta sulle nostre strade ci si sente fragili e vulnerabili. È tutto questo che fa del ciclismo un possibile strumento per educare lo sguardo sulle scelte politiche e sociali. Sì anche quelle di una valle che merita un rilancio serio, rispettoso, attento e lungimirante. Perché ci vuole tempo a costruirlo. Ci vuole fatica. E questo non ci dovrebbe bloccare perché è la stessa fatica e pazienza di cui erano capaci i nonni coltivatori, allevatori e montanari. Raccontare onestamente la valle, accogliere turisti, proporre esperienze educative chiedono più il tempo e il sudore di una gimondi che non l’istante di una storia.
Ci piacerebbe in questo periodo, lontano da elezioni importanti, sentire qualche politico che, prendendo in mano questi circoscritti malumori per la chiusura del traffico in favore di una gara internazionale, possa delineare alcuni snodi politici come ad esempio un piano serio per il rilancio della Valle e alcune strategie per la promozione del turismo e della mobilità leggera.
Noi domani stiamo con i più fragili, quelli che attraverseranno la valle in bici rubando due ore alle auto. Domani in Valle sarà una festa dello sport con i ciclisti a risalirla e i canoisti che scenderanno il Brembo a San Pellegrino per i campionati italiani di slalom. Domani ricorderemo quel gran uomo di Felice Gimondi che a suo modo è stato imprenditore dalle larghe vedute rendendo Bergamo una città protagonista del ciclismo.
PS giusto per citare un altro esempio, poco dopo aver pubblicato questo articolo, ci siamo imbattuti nel seguente post di BergamoNews