Una Malga Lunga di fine estate

La giornata si libera sul tardi, perché è così, perché quando si diventa grandi ci sono tante cose da fare, qualcuno più piccolo da seguire e paradossalmente ci si ritrova a fare gli stessi orari ciclistici di quando si era degli sfaccendati, dei felici perdigiorno, ignari delle procelle che il destino riserva ai comuni mortali.
Lo stesso risultato, ma per cause opposte. E succede che si esce alle 14,00, ci vuole qualcosa di impegnativo, ma vicino… è un po’ la cifra di questa stagione ciclistica, in cui sono mancate le grandi vette… Scorro il mio archivio mentale delle salite vicine e… Malga Lunga. Saranno due anni almeno che non la faccio, forse tre. Durissima. L’ho segmentata a seconda dei dolori che genera: schiena, ginocchio e ipoglicemia.
Via, mi porto il faretto bello, che non si sa mai. Mi faccio un antipasto di Colle Pasta, Vall’Ata e mezza valle Rossa… e già sento che gli zuccheri mi mancano, al che, gelatino a Leffe, grande classico.
E’ ora, affrontiamo il nemico, cominciamo l’espiazione. La Malga Lunga è una salita che si fa con la testa: ti illude di essere domabile, poi ti violenta senza pietà, ti rompe la schiena, quindi torna quieta, ma la fatica delle pendenze precedenti non permette di spingere come si vorrebbe, poi un paio di schiaffi sul finale, per ricordarti che la resistenza non è un pranzo di gala con arrivo trionfale su sterrato, in bocca al monumento dedicato ai partigiani.
Il sole è dolce, parto piano, so che le energie mi saranno appena sufficienti. Sono il solito pirla, ma mentre lo penso si apre una finestra sul passato. Due ragazzini, 12-13 anni al massimo, con mountain bike gialla e nera, senza fari, senza casco, stavano cominciando la salita assieme a me.
-Stcecc, ma volete arrivare in cima (ma fatti i cazzi tuoi, paolì…)
-si…
-e allora forza, ch’è longa… dai che se andate bene mi superate…
Incoraggiati salgono in sella, chissà se la finiranno… è cattiva la Malga Lunga…
E arriva il tratto centrale, quello che ti fa chinare il capo, quello che anche con l’ultimo rapporto ti strina i nervi, quello che fa male alla schiena, alle ginocchia, all’anima, a tutto. Ma io ricordo che poi ad un certo punto spiana, me lo ricordo, me lo ricordo… si, dopo la cappelletta in effetti si rilassa, ma già lì i diversamente smilzi come me, non ne hanno più, ma il peggio è passato. Falsopiano, ipoglicemia che impedisce di spingere, sterratini vari, la valle si apre, ultimo sforzo, la sequenza di schiaffi e l’arrivo trionfale… Con la sbarra chiusa.
Vabè, prevedibile. Ma il momento di raccoglimento davanti alla lapide e al monumento ci vogliono sempre. Respiro l’aria della libertà, della riconoscenza alla Resistenza. Una carezza al Partigiano, e si torna in sella. Livello glicemico appena sufficiente per tornare a casa.
Mentre scendo mi chiedo cosa avranno fatto i ragazzini, saranno tornati indietro? Chi lo sa… Finché non arrivo alla cappelletta. Eccoli lì… Mi sorridono
-Manca ancora molto?
chiedono stremati e scesi di sella
-Avete fatto il pezzo duro, adesso è facile ragazzi, forza, dai!
I ragazzini sorridono e mi ringraziano.
In realtà ne hanno ancora per mezzora buona, con quel passo… Gli psicoterapeuti lo chiamano “transfer”, quando ti rivedi nell’altro e forse perdi lucidità, o invaghendoti oppure facendogli fare quello che avresti voluto fare tu. Ci ho visto un me stesso di dodici anni in quei due, quando con una Mountain Bike pesantissima, si puntava a mete esasperate solo per il nome evocativo, senza reali misure di sicurezza, senza criterio, pura follia, spesso pagata con crisi epocali e rischi assoluti…

-Davide, ma dove sei stato?…
-A Urgnano… disse un Davidino dodicenne a suo padre dall’alto della bici rosa rubata alla mamma.
E mio padre cambiò tutti i colori dell’arcobaleno immaginando il sangue del suo sangue travolto da Tir e auto varie lungo gli stradoni della bassa.

La parte dura l’avete fatta stcecc’… forza!

Sarebbe stato da chiamare i vigili? E chi sono io per privare due ragazzini di un racconto epocale? LA MAAALGA LUNGA. Che salita altisonante. Domani, primo giorno di scuola, parleranno solo di quello. Resterà nei loro cuori per sempre. Quando torneranno a casa (Gandino? Leffe?) si beccheranno una scarica di legnate, metaforiche o meno. Anche perché ci arriveranno al tramonto, stremati, con sentimento misto di colpa e di trionfo. E questo rinforzerà il ricordo e l’orgoglio… e la voglia di rifarlo. La fuga, la libertà, la follia. Essere.
Ora e sempre.

Davidao

PS: alla sera ho scorso i siti di news locali non senza preoccupazione, pronto a segnalarli… nessuna notizia di ragazzini dispersi 😉 Grandi Stcecc’!

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