Heart and Soul – Giro d’Italia

Amara vigilia del nonGiro 103: se almeno ci siamo liberati dai rulli (speriamo definitivamente), proviamo a colmare il vuoto televisivo delle prossime tre settimane con uscite senza senso in bicicletta e il classico schema che ci ha accompagnato per le nonclassiche del Nord, con qualche cambiamento.
Avendo molto tempo da perdere, nelle ultime settimane ci siamo inventati un gioco dal titolo Diventa Torriani e disegna il tuo Giro d’Italia, attingendo liberamente alle tappe che hanno percorso la storia della Corsa Rosa.
Quattro regole. La prima: una certa dose di credibilità, ovvero ricreare un giro che fosse geograficamente il più realistico possibile. Ci siamo quasi riusciti, forse alcuni lunghi trasferimenti (ma la storia ci ha raccontato anche di peggio) o qualche curiosa sovrapposizione. La seconda: varietà. Non solo tappe di montagna, non solo volate, non solo crono e nemmeno solo fughe ma un po’ di tutto, possibilmente ben distribuito. Terza: mai attingere più volte da uno stesso anno. Regola infranta alla 20ª tappa, ma non si poteva fare altrimenti. Ultima, la più difficile: solo tappe di cui fosse reperibile materiale video (se non integrale almeno parziale).

Siam partiti dalle tappe del cuore, ricordi personali, letti o visti dal vivo oppure in TV. Da lì abbiamo risalito il Paese su due ruote, tra i palmarés dei nostri personalissimi eroi (dimenticandone sempre troppi) e i luoghi simbolo della corsa. Ne è uscito un Giro ceppo di incongruenze storiche e statistiche (ma il bello è questo); un giro forse troppo nord-centrico, nonostante ci si sia sforzati di attraversare tutte le regioni d’Italia (mission: failed) e pure millenials-centrico, ché noi, pota, siam nati negli anni 80.
Ci sono una serie di tappe che hanno forse pochi meriti sportivi ma sono tornate utili lungo il percorso.
Mancano le TTT, esteticamente splendide, incastro geometricamente perfetto tra tecnica e armonia: praticamente l’essenza del ciclismo.
Mancano pure il Lazio e la Valle d’Aosta (la Liguria no, si parte, benché in nave, da Genova) oltre alla classifica finale e a una serie infinita di tappe che avremmo voluto inserire ma che per motivi di spazio abbiamo dovuto scartare.

Partenza di sabato, 21 tappe (anzi, 22 perché come una volta ci sono due semitappe), due lunedì di riposo.
Un racconto per ogni giornata in Carovana (pause comprese) con profilo (non sempre), difficoltà, resoconto degli eventi, video (a volte anche full). A voi!

 

Il percorso

 


Prologo
Giro 1949: Notte sul transatlantico del “travet” delle strade. Da Genova a bordo del Saturnia in navigazione

«Apriamo la porta della cabina n. 223, seconda classe turistica. Buio, e il sussurro musicale di un ventilatore. Qui ci sono Lucien Buysse, Roger Missine, Jeff Van der Helst, Giuseppe Cerami, corridori ciclisti. Dormono. Apriamo la porta della cabina n. 234. Buio anche qui. È il posto di Albert Dubusson e di Jean Lesage. Anch’essi addormentati. E di qua e di là, dietro le bianche porte del lungo deserto corridoio, gli altri, Kubler, Logli, Monari, Valenta, Conte, Crippa, eccetera. Li porta, col suo sommesso ronfare di motori, attraverso la notte del Tirreno, il bastimento stupendo di lumi che i pescatori, dalle loro piccole barche, devono scorgere anche da lontanissimo come un miraggio e benché sappiano cos’è fanno segno e si chiamano l’un l’altro quasi stentando a credere.
Buysse, Missine, Van der Helst, Cerami, eccetera, nomi famosi e no. Si sbarcherà domattina a Napoli, in serata partenza con un’altra nave. Dopodomani sbarco a Palermo. Ancora un giorno e poi tutti saliranno in sella, punteranno i piedi sui pedali e via al galoppo a denti stretti, per la grande avventura. Ma come devono essere facili stanotte i sogni sulla grande nave illuminata.
Da Genova, con questo paradossale debutto marinaro, è cominciato infatti questa mattina il trentaduesimo Giro ciclistico d’Italia. Ce n’è soltanto un pezzetto, del Giro, a bordo del Saturnia. Direttori sportivi, dirigenti tecnici, meccanici, massaggiatori e così via. Dei ciclisti veri e propri, 23. Coppi per esempio non c’è, Bartali non c’è. Molti, non avendo mai navigato, e specialmente quelli di razza campagnola, hanno creduto ciecamente alle paurose favole sul mal di mare e stanno discendendo giù per la Penisola coi vecchi treni. Molti si uniranno ai navigatori domani, partendo da Napoli. Ma, storicamente, il romanzo del Giro è cominciato proprio stamane nel momento che lo scalandrone è stato ritirato dal fianco del transatlantico e si sono mollati gli ormeggi.
Dovremmo ora rinunciare al paragone così istintivo coi Mille di Quarto? Troppo banale? Nemmeno per idea. Non ci rinunciamo assolutamente né adesso né in eventuali prossime occasioni, se si presenteranno. Sarebbe anche tradire la verità perché in chi ha inventato questo start senza precedenti è impossibile che non abbia giocato il ricordo di Leone di Caprera. E anche ammesso che nessuno degli organizzatori vi abbia coscientemente pensato, allora vuol dire che, inconsapevoli, essi hanno rifatto tale e quale, a scopo velocipedistico, anziché militare, il ragionamento fatto novant’anni fa da Garibaldi. C’è forse una specie di strategia peninsulare che si rinnova come soluzione obbligata per chi si è messo in mente di conquistare l’Italia? E che non ammette scarti dal solco tradizionale neppure quando l’invasione si fa con le biciclette?
Non vegliano però stanotte gli eroi della imminente avventura come vegliarono le vedette garibaldine sulle coffe del Piemonte e del Lombardo. Dormono i campioni, assaporando la dolcezza di questa notte così agitata e signorile, cullati dalle cento voci della nave che nelle ore alte si mettono a narrare meravigliose storie di oceani, balene, grattacieli, amori esotici, città lontane dai nomi troppo difficili da pronunciare.
Domani si incontrerà la Strada, la grande nemica, lunga e diritta a perdifiato che finisce in niente all’orizzonte o tortuosa ed erta come rupe che leva il fiato alla sola vista, fatta di sassi, o di polvere, o di fango, o di bitume, o di sconvolte buche: lo sterminato nastro che bisognerà inghiottire a poco a poco. Ma stanotte c’è solo il vialone immenso del mare, che non ha buche né paracarri né salite, un soffice tappeto, così sembra, che la prora della nave taglia con spaventosa facilità come fosse seta, senza bisogno che i polpacci la spingano a colpi di pedale.
Domani ci sarà il sudore, i crampi, le ginocchia che dolgono, il cuore che viene in gola, l’imbastitura, la sete, le maledizioni, le forature, il tracollo dell’animo e del corpo, quel senso di amaro in bocca quando gli altri, i bravi, fuggono via, sparendo in un turbine di evviva. Ma stanotte, nella cuccetta morbida, i muscoli si distendono placati: sono giovani, elastici, stanotte, straordinari, irresistibili, gonfi di vittorie.
Domani ci saranno gli ordini spietati di scuderia, bisognerà adattarsi a tirare il “capitano” che non se la sente, a trascinarlo su per le salite come un sacco, buttando via così senza alcun frutto il meglio delle proprie forze, proprio oggi che lui, gregario, meditava una fuga solitaria. Ma stanotte non ci sono ordini di scuderia, né disciplina di squadra, né sudditanze.
Anche l’infimo dei poulains stanotte è come un Napoleone. E sogna. Sogna il piccolo fantaccino delle strade che mai ha udito le folle urlare il proprio nome e mai è stato sollevato sulle spalle da una turba frenetica per il trionfo. Egli sogna ciò che tutti gli uomini una volta o l’altra hanno l’assoluto di fantasticare altrimenti la vita è troppo magra. Il “suo” Giro d’Italia, sogna, la formidabile rivincita».

Dino Buzzati, Corriere della Sera

Buzzati al Giro d’Italia

Prima tappa
Giro 1991: Olbia – Sassari, 127 km ★★☆☆☆

È la prima volta che il Giro parte da Olbia (a dirla tutta è pure il primo anno che il Giro parte dalla Sardegna): folla della grandi occasioni in piazza, con mamuthones e Issohadores di Mamoiada a fare da cornice a un parterre di favoriti di spessore. Per la 74ª edizione della Corsa Rosa pare sia tutto un derby d’Italia tra il campione in carica Gianni Bugno e Claudio Chiappucci, nel ruolo di outsider ci sono tra gli altri Pedro Delgado, Greg Lemond e Laurent Fignon. Nella città di Berlinguer lo sprint vincente è quello di Bugno su Chioccioli con Vladimir Pulnikov terzo; grazie agli abbuoni il Coppino conquista la rosa (e praticamente non la leverà più).

Seconda tappa
Giro 1989: Taormina – Catania, 123 km ★☆☆☆☆
Ci si sposta in Sicilia con una tappa pianeggiante con circuito finale di 6 km.
Gruppo compatto ai – 3: con Rosola fuori gioco per una caduta, si va alla volata con Fidanza, Baffi, Konishev, Allocchio e un giovanissimo Mario Cipollini all’esordio sulle strade del Giro. Agguerritissima la Panasonic che se la gioca con i due alfieri, lo svizzero Urs Freuler e il neerlandese Van Poppel, padre del piccolo Boy, un anno.
Pare che la Sicilia porti bene a Van Poppel.

Terza tappa
Giro 1999: Terme Luigiane – Monte Sirino, 144 km ★★★☆☆
Primo arrivo impegnativo ma non durissimo, dalla Calabria alla Basilicata fin su ai 1525 m di Monte Sirino. Nella tappa precedente Jalabert ha tirato fuori le unghie e bruciato sul traguardo Rebellin, conquistando la sua prima tappa in carriera al Giro. Primo segno ai rivali Pantani, Camenzind, Savoldelli, El Chava Jimenez, Buenahora e Gotti, ma la Rosa è ancora saldamente sulle spalle di Jeroen Blijlevens.
La Kelme Costa Blanca è qua per una vittoria di tappa e José Jaime Gonzalez Pico, per tutti solo Chepe Gonzalez becca la fuga giusta. In gruppo lo chiamavano “l’uomo delle otto donne”, che sono poi le cinque sorelle, la madre, la moglie e la figlia. 22 km di salita al 4,1 %, ultimi tre km al 9. Un testa a testa con Danilo Di Luca è troppo pericoloso, Chepe cerca in tutti i modi di toglierselo di dosso e dopo aver dosato al meglio le energie parte con tutta la forza che ha. L’abruzzese paga l’inesperienza ma adesso tutti sanno che c’è.

Quarta tappa
Giro 1988: Vieste – Santa Maria Capua Vetere, 260 km ★☆☆☆☆

Tappa mossa che dalle rive dell’Adriatico va alle porte del Tirreno. Non parte LeMond, Delgado è lontano in classifica, Hampsten, Zimmermann, Rominger e Visentini sono tutti a pochi secondi ma la Rosa è ancora sulle spalle di Podenzana. Arrivo leggermente in salita con la Selca davanti a tirare: all’Arco di Adriano va giù mezzo gruppo e in un lago di sangue sono Massi e Schwarzentruber ad avere la peggio, rimettendoci femore e omero il primo e clavicola il secondo. Nella volata del gruppo ormai ristretto è Ciclone di Gussago Bontempi ad avere la meglio su Van der Velde e Allocchio.

Quinta tappa
Giro 1954: Napoli – L’Aquila, 245 km ★★☆☆☆
È l’ultimo Giro di Bartali ed è quello della rivincita tra Coppi e Koblet con i duellanti che si avvicinano alla frazione ad armi pari: alla prima tappa (TTT) Fausto ha rifilato 4′ al rivale, in quella successiva l’Airone va in crisi dopo un’indigestione di cozze e ne prende 5′ dallo svizzero. Tappone di trasferimento: 245 km dalla Campania attraverso la Marsica fino al capoluogo abruzzese. Ai piedi del Sirente allungano in due: Nino Assirelli è uno che l’anno prima si è fatto 215 km di fuga solitaria andando a vincere a San Pellegrino, l’altro è Carlo Clerici, gregario di Koblet, svizzero ma di padre italiano confinato a Lipari. Quella che va in scena è la più classica delle fughe bidone: la coppia guadagna più di mezz’ora sul gruppo, Clerici batte in volata il forlivese e veste la Rosa che indosserà fino a Milano, con il gruppo incapace di sfilargliela nonostante Abetone e Alpi ancora da affrontare.

Sesta tappa – Prima semitappa
Giro 1972: Francavilla a Mare – Blockhaus, 42 km ★★★★☆
Dopo l’exploit del ’67 il Cannibale torna sulla Majella. Allora era ancora “solo un velocista”, cinque anni dopo il battesimo del Giro si torna sul Blockhaus con una prima semitappa brevissima (una delle più corte della storia) dalle spiagge di Francavilla ai 1700 della cima e le scommesse sono tutte su chi sarebbe giunto secondo.
Partenza poco dopo l’alba e sbrigate le formalità, quando a Pretoro la strada inizia a salire, sono le maglie gialloblu della Kas a portarsi al comando per il capitano José Manuel Fuente che stacca tutti e se ne va, tagliando il traguardo con 1’35” su Miguel Marìa Lasa. Tappa e maglia per El Tarangu, con Gianni Motta e Marcello Bergamo che batterono allo sprint un Merckx che non la prende benissimo.

Sesta tappa – Seconda semitappa
Giro 2002: Chieti – San Giacomo di Valle Castellana, 186 km ★★★☆☆

Senza Garzelli (positivo al Probenecid) e Simoni (che invece si è fermato a mangiare le caramelle dalla zia) questo Giro fatica a trovare un padrone: maglia rosa sulle spalle di Jens Heppner grazie alla classica fuga bidone, ma per la vittoria finale ci sono ancora Tyler Hamilton e Dario Frigo, Escartin e Savoldelli, Francesco Casagrande e Pavel Tonkov.
Le Alpi non sono così lontane e oggi i protagonisti sul Gran Sasso sono gli attaccanti. Una tappa che il DS della Panaria Reverberi sa come si vince.
– 4 km, tornante a destra e la strada sale al 15% «metti il 39×21 e scatta» così deve aver detto al suo Julio Alberto. Che prontamente esegue: riprende Evans, insieme riprendono e passano Tonkov e quando si fa sotto la coppia Casagrande Pellizotti – siamo a 1500 dall’arrivo – il messicano anticipa tutti e se ne va.
Perez Cuapio balla coi lupi.

Settima tappa
Giro 1979: San Marino – Pistoia, 248 km ★★☆☆☆

La sfida tra Beppe Saronni e Francesco Moser è all’apice. A Pistoia una tappa di trasferimento matta: il giorno prima una crono (la terza quel Giro, da Rimini a San Marino), il giorno dopo un’altra crono (quarta e penultima, da Lerici a Portovenere). Una giornata lunga e mossa quella che dalla Sitê porta alla città dei Pulpiti, 249 km con in mezzo un GPM di terza e un circuito finale nervoso da ripetere due volte. Vince in volata le gitan d’Eeklo Roger De Vlaeminck su Michel Laurent e Claudio Bortolotto, con Saronni, Moser e la maglia bianca Contini a chiudere la top ten.

Ottava tappa
Giro 1954: Cuneo – Pinerolo, 254 km ★★★★★

Dalla Toscana si salta la Liguria e si va dritti ai piedi delle Alpi, dalle Marittime alle Cozie. Iniziano le salite, quelle vere: nell’ordine Colle della Maddalena, Col de Vars, Col d’Izoard, Col de Montgenèvre e Sestriere.
Freddo, neve e all’inizio della Maddalena parte Primo Volpi, dopo 50 km Bartali ha un guasto meccanico, dal gruppo esce un ragazzo secco come un osso di prosciutto e se ne va, riprende Volpi su cui scollina con più di un minuto, mentre Bartali insegue a 2’30”. In casa RAI è cambiato il radiocronista, il precedente è appena stato silurato da Vittorio Veltroni, che tra qualche mese diventerà padre del piccolo Walter. Quando Mario Ferretti attacca la radiocronaca ancora non lo sa ma sta scrivendo la Storia: «Un uomo solo è al comando. Ha la maglia biancoceleste della Bianchi. Il suo nome è Fausto Coppi». 192 km di fuga solitaria, dietro Ginettaccio è rimasto solo, arriverà a Pinerolo con 11’52” di ritardo, tre forature, due guasti e un mazzo di fiori impigliato nel cambio sul Sestriere. Primo tra gli umani, terzo al traguardo, Alfredo Martini, seguito da Cottur, Bresci Giulio non Gaetano e Astrua a quasi venti minuti.

Nona tappa
Giro 1993: Pinerolo – Sestriere (ITT), 55 km ★★★★☆

Per la prima volta dal ’54 il Giro viene trasmesso da RTI e non più dalla Rai, c’è ancora De Zan ma non è Adriano, bensì Davide, il figlio, con il commento tecnico affidato a Beppe Saronni. Si ritorna al Sestriere dove due anni prima il Diablo compì la sua leggendaria impresa al Tour: in giallo quella volta andò Indurain, che oggi veste invece in rosa.
Cronoscalata dura, un favorito su tutti e qualche possibile outsider: Jaskula e Lelli, tipo; voleva farla a tutta anche De Las Cuevas, gregario ribelle del navarro, ma dice il ds Echevarri che deve risparmiarsi per le tappe successiva. Il gitano stempiato col codino voleva il 55×11 ma si ritrova il 53×11: il giorno dopo per ripicca si staccherà subito dal gruppo.
A Indurain prova a resistere il solo Piotr Ugrumov, unico a chiudere sotto il minuto di distacco. Argentin (terzo) è a oltre 2′, Chiappucci oltre i 4′ (e ci credeva: parte con le lenticolari e cambia bici in corsa). È un trionfo per Miguelon, che a Pragelato è stato accolto dallo striscione “Indurain vai a lavorare”.

Rest Day
Giro 1968: Merckx e l’arte del capitano
«Non è ancora alta stagione, molti alberghi sono chiusi, presto si spengono le luci. Tranne che nel salone dell’albergo che ospita la Faema dove si fa quasi l’alba a parlare a bassa voce con Giacotto, per non svegliare i corridori, mangiando acciughe e bevendo whisky, menu ormai tradizionale. Ogni sera si cerca di parlare del più e del meno, sapendo benissimo che si ricadrà nel ciclismo, è come una malattia. Giacotto diceva a Merckx: «È inutile parlare del campione. Lo sanno tutti che è un campione, io voglio che diventi un capo. E sono certo che ci riuscirà».
Giacotto fuma poco, rispetto al passato. Ora è sulle cento sigarette al giorno, sicché le parole gli escono di bocca insieme al fumo. Però sono chiare. Ha il problema della conoscienza, nei confronti della squadra. E siccome la squadra è molto numerosa, l’impegno è costante. Bisogna capire per far rendere al massimo, bisogna anche capire per accantonare qualcuno, quando verrà il momento.
L’atmosfera è familiare. C’è la moglie di Adorni con Viviana, che ha 16 mesi, cammina, non gioca più con l’imponente naso paterno ma canta come può «Pippo Pippo non lo sa». C’è la moglie di Mealli con Stella, più piccina di Viviana, però le due bimbe si tengono compagnia. Ci sono le mogli di Merckx, Reybrouck e Lelangue, una bionda, una rossa e una bruna; insomma, in tutto l’albergo non c’è una persona che non c’entri col ciclismo.
C’è Gus Naessens, 25 anni di ciclismo. L’avevamo visto una volta sola, prima al Giro, tappa dell’Etna, quando cercammo di penetrare nella stanza di Merckx venendone respinti con gravi perdite. Gus dice: «In 25 anni di ciclismo, io non ho mai trovato un giornalista amico. Io amo il ciclismo non i giornalisti e la politica della stampa. Visto che posso fare a meno di loro e loro di me, tanto meglio».
L’enunciazione di Gus è programmaticae contiene anche qualche ragione.
In Belgio, non è che ultimamente la stampa sia stata molto tenera nei confronti di Merckx e Gus dice: «Non ho mai visto un campione come Eddy in 25 anni. È un bijou, un gioiello, che non si deve sciupare con troppe riunioni in pista. Sono convinto che quando avrà 25 anni, Eddy sarà qualcosa di mai visto prima. E sono contento che sia venuto via dal Belgio perché stando là si sarebbe rovinato».
Merckx legge i giornali italiani e ci capisce abbastanza. Parlando fa progressi. Sua moglie è un tipo elegante, alta, intelligente e simpatica. Se fossimo inviati da un giornale femminile faremmo un lungo articolo sulla signora Merckx: come ha arredato la casa, quali sono le sue specialità gastronomiche, che qualità di fiori ha in giardino e via dicendo, le solite storie. Hanno in comune la passione della musica leggera: a lui piacciono Sammy Davis e gli americani, in genere; a lei Fausto Leali e Gianni Morandi.
L’altro giorno, ad Alassio, voleva comprare un 33 giri di Gianni Morandi però s’è confusa e ha chiesto un disco di Gianni Motta, lapsus ciclistico. Merckx legge i giornali italiani, e non gli è quindi sfuggita la Gazzetta di ieri con il servizio su Bruxelles in cui si parla dei commenti non certo benevoli attorno alla sua partenza, o fuga che dir si voglia; tutto dipende dall’angolazione e dal buonsenso di chi considera. In Italia cosa si sarebbe scritto se Gimondi o Motta fosse andato a correre per una squadra belga? Ma è un’ipotesi assurda. Non è assurdo che Merckx sia venuto in Italia, però, e lui stesso ne spiega i motivi: «In Belgio, non ci sono squadre ciclistiche bene impostate, forse per mentalità, forse perché mancano i capitali. Ognuno fa per sé, in Belgio. Le vere squadre, impostate come si deve, sono in Francia e in Italia, in Italia più ancora che in Francia. Vuole che le dica una cosa? Ieri, a Cannes, mi è stata tirata una volata per la prima volta da quando corro, da Swerts e Vandenbossche. E ieri in corsa, per la prima volta, mi sono visto al fianco quattro compagni di squadra pronti a eseguire le mie disposizioni. È un altro correre, questo».
«Ma in Belgio si direbbe siano proprio seccati con lei…».
«E io avrei buoni motivi per avercela con qualcuno, in Belgio. Hanno persino criticato il mio matrimonio, perché celebrato in lingua francese. Mi lascino al di fuori della questione linguistica, che è esasperata, assurda. Mi giudichino come corridore e basta. Il Belgio non finisce, se io corro in Italia. Le cose devono essere presentate serenamente, altro che fughe o tradimenti, o cose del genere. Io non sono un italiano, ma un belga che corre in Italia e continua a essere un belga. Ho detto che in Italia corro più volentieri e lo confermo. È così, non vedo perché dovrei nasconderlo. Altro entusiasmo».
Scorre il giornale e non può trattenere un sorriso: «Mio suocero avrebbe detto che non ho saputo resistere ai soldi. Perché avrebbe dovuto dirlo? A parte che non è solo per i soldi che sono venuto in Italia, perché, proprio lui, dovrebbe dolersene? In fin dei conti, ho sposato sua figlia».
E poi leggendo il sommario: «Ah, non ho più il colpo di pedale del pistard? J’en suis bien heureux, per adesso, sì mi fa molto piacere, e io non ho scelto la strada. Non voglio dire di aver voltato le spalle alla pista, però è certo che non disputerò cinque Sei giorni in un inverno. Qualche omnium si capisce, ma la mia attività sarà disciplinata e comunque rivolta più alla strada che alla pista. Per esempio, mi hanno telefonato un’ora fa per un incontro Merckx – Van Looy a Gand, alla vigilia del Giro delle Fiandre. Ho detto di no, non mi interessa, arrivederci e grazie. Che senso avrebbe questo duello alla vigilia di una corsa così importante? A parte la fatica, il giorno dopo io e Van Looy ci imbarcheremo come due bambini testardi, col risultato, ampiamente prevedibile, di colare a picco insieme. Ho detto di no, anche se la cifra offerta mi era davvero notevole. Visto che so dir di no ai soldi?»
«Quello che vorrei si capisse è che io sono venuto in Italia per migliorare la mia condizione di corridore, non il mio conto in banca. Ho una squadra, e col tempo imparerò a fare il capitano. Ho ancora molte cose da imparare e qui potrò impararle prima e meglio. Con tutto questo, sono un professionista belga che lavora all’estero, e non mi sembra che ci sia nulla di scandaloso. Accetto tutte le critiche, però non quelle formulate in malafede. Quelle, nemmeno le ascolto. Conta più l’essere in pace con la propria coscienza dell’opinione pubblica, quando all’opinione pubblica non viene raccontata la verità. Per esempio, non è vero che il signor Giacotto sia un dittatore. È vero invece che ha dell’autorità, ed è giusto che sia così, perché se ogni corridore facesse di testa sua, i risultati non arriverebbero mai».
È proprio quando Merckx parla così, gentile ma fermo, serio, deciso, che non dimostra i suoi 23 anni scarsi. Cosa mai diventerà tra qualche primavera?»

Gianni Mura, Gazzetta dello Sport

Eddy & Claudine

Decima tappa
Giro 1980: Torino – Parma, 243 km ★☆☆☆☆
Dopo l’incredibile vittoria dell’anno precedente, cambio casacca per Saronni, che dalla Scic passa alla Gis. Ormai fuori dalla lotta per la generale, per quest’edizione si prospetta un finale a due tra Moser – ora in rosa – e Hinault; il novarese veste la maglia ciclamino e va a caccia di tappe: a Parma è la più classica delle volate e Beppe regola Mantovani e Vanhaerens, quarto Martinelli.

Undicesima tappa
Giro 1963: Treviso – Gorizia, 213 km ★☆☆☆☆
Altro tappone di trasferimento che dal cuore del Veneto porta la carovana fino a Gorizia. E mentre il corridore Mele rischia di morire per un’iniezione senza il controllo medico, i big non corrono rischi e preferiscono rifiatare prima di approdare sulle Dolomiti: ad anticipare la volata a pochi km dal traguardo è un gruppetto regolato al traguardo da Vendramino Bariviera detto Mino, velocista della Carpano che anticipa tra gli altri Italo Zilioli e Vito Taccone.

Dodicesima tappa
Giro 1968: Gorizia – Tre Cime di Lavaredo, 213 km ★★★★☆

Il ’67 fu l’anno della scoperta. Di quel velocista belga che vinse sul Blockhaus e delle Tre Cime di Lavaredo: sulle Dolomiti non andò benissimo, la tappa venne annullata per le troppe e ripetute spinte e a trionfare dopo 22 tappe fu Gimondi (che sulla montagna del disonore giunse, inutilmente, primo). Ma Torriani non è il tipo che demorde e ci riprova l’anno successivo.
Il ’68 è l’anno della Rivoluzione. Merckx ha indossato la Rosa alla seconda tappa ma l’ha già dovuta cedere a Michele Dancelli. Stavolta si parte da Gorizia e si torna su quel monumento naturale da cui non si distinguono le pietre dalle nuvole.
Siamo quasi al lago di Misurina, mancano 12 km all’arrivo e sta per iniziare l’ascesa finale: 7 km al 7,5% con gli ultimi 4 che non scendono mai sotto l’11%. Trampolino ideale per il Cannibale che si porta dietro il fido Adorni e insieme vanno a riprendere i 16 fuggitivi che avevano oltre 9′ sull gruppo. A 3 km dal traguardo riprendono l’ultimo fuggitivo, Polidori, e Merckx se ne va solo verso il traguardo. Staccherà tutti: Zilioli, Motta, Bitossi, l’esordiente Ocaña, il Gimondi da Sedrina, giunto in lacrime 6’19” dopo, venti secondi prima dell’ormai ex maglia rosa Dancelli. E Merckx quella maglia rosa non se la leverà più. Il ’68 a pedali.

Tredicesima tappa
Giro 1994: Marostica – Marostica, 115 km ★☆☆☆☆
Spazio alle ruote veloci per uno degli ultimi possibili sprint fino a Milano. Tappa nata per ripicca: si racconta che Carmine Castellano, allora fresco patron del Giro, stufo delle soffiate date dalla voce flautata di Beppe Conti, poco prima della presentazione ufficiale stravolse il programma e quella che sarebbe dovuta essere la Merano – Marostica diventò la Marostica – Marostica. Non parte Zenon Jaskula a causa di una profonda ferita alla gamba; sul circuito della Rosina ritmo altissimo imposto dalla Gewiss e dalla Polti, in vista dello sprint finale una caduta spezza il gruppo e costa l’abbandono a Shur della Motorola. Alla città degli scacchi davanti a Lombardi e Baldato sfreccia Djamolidine Abdoujaparov, il Terrore di Taskent. Nel gruppo di testa si infila anche Bugno che rosicchia 6” a Indurain, Berzin e De Las Cuevas, giunti attardati a causa della caduta.

Quattordicesima tappa
Giro 1996: Marostica – Passo Pordoi, 220 km ★★★★★

Il classico tappone dolomitico: Manghen, Pordoi, Fedaia e ancora Pordoi, 4 GPM di prima categoria, tutti oltre i 2000 m. In casa Carrera si è ritirato Chiappucci, in casa Panaria Tonkov indossa una rosa mai così in bilico. Sul Manghen il primo a scollinare è Mariano Piccoli che invece vuole portarsi a casa la verde. Al primo passaggio sul Pordoi sono lui e Simeoni i primi a scollinare, inseguiti da Massi e dal gruppetto composto da Gotti, Berzin, Finco e Cacaíto Rodríguez, con il gruppo maglia rosa che passa a oltre 30”. Massi rientra sui due di testa e dietro si scatena la bagarre. I primi a uscire sono Dotti, Zberg e Vona; Olano, secondo in generale a 1”, prova a far saltare il banco mandando avanti i due scudieri Fernández Ginés e Beltran. È tutto sulle spalle di Tonkov e si sale verso la Marmolada: il primo a provarci è proprio la maglia rosa, rispondono Ugrumov, Olano, Gotti, Zaina e a fatica anche Faustini e Berzin. A più di 40 km dal traguardo Zaina imponte un ritmo impossibile che uno alla volta lascia tutti dietro. Scollina con 33” su Gotti e 35” sul trio Tonkov, Ugrumov e Olano. Faustini e Bugno sono oltre il minuto, Berzin addirittura a 4′. Discesa verso Canazei e via con l’ultima ascesa: Bugno risorge e in 5 km riagguanta il terzetto maglia rosa, sul Pordoi Zaina alza le braccia al cielo, secondo Gotti e terzo uno stupefacente Gianni Bugno che brucia tutti mentre Olano sfila per una questione di centesimi la maglia rosa al russo. Ma oggi è il giorno della rivincita dell’eterno gregario.

Quindicesima tappa
Giro 1998: Cavalese – Plan di Montecampione, 243 km ★★★★☆

Il Giro torna finalmente in RAI, con la voce di De Zan padre e il commento tecnico di Davide Cassani. In Moto 1 ça va sans dire: Auro c’è. Tappa lunga dalla Val di Fiemme, tre GPM (Paganella, Passo Ballino e Crocedomini) fino al Plan di Montecampione.
Sul Crocedomini scollina davanti a tutti Axelsson, seguito dalla maglia verde Chepe González, Piccoli che veste invece la ciclamino e Gianni Bugno. C’è Pantani in maglia rosa, insegue ma ha perso per una caduta Garzelli. Sul lungo rettilineo che porta all’ascesa finale, i big sono tutti davanti insieme ai più fidi gregari: Guerini e Leblanc, Faustini e Furlan, Clavero e Buenahora, Pantani e Podenzana, Tonkov ne ha due, Missaglia e Camenzind, e poi Miceli, Chepe González, De Paoli, Gougot e Secchiari, manca solo Zulle che è crollato definitivamente e insegue a oltre 10′.
Quando la strada inizia a salire Pantani celebra il rito della svestizione: via il cappellino e scatta. Risponde Tonkov, ci prova Guerini e dietro di lui pure Chepe González, che però salta subito. A – 15 il rito prosegue: via gli occhiali, mani basse e si continua a salire forte, ritardo di Guerini 28”. Pantani chiede il cambio a Tonkov, che glielo concede più che altro per rifiatare dai continui scatti del romagnolo; a Vissone Guerini è a 40”, a Montecampione a 50”. La strada spiana un attimo prima di risalire per gli ultimi 5 decisivi km. Tonkov è imperscrutabile, non perde un metro, se il Pirata vuole vincere sa che se lo deve levare di dosso. Allora cambia posizione, mani nella parte alta del manubrio e a 2,5 km dalla conclusione parte la progressione: il rito si conclude, via anche l’orecchino al naso e stavolta Tonkov non risponde. Gli darà 55”, Beppe Turbo a 3’16”.

Rest Day
Giro 2000: Brescia – Meda, 102 km
Sembra incredibile ma dopo la batosta del tappone precedente, il DS Mapei Roberto Damiani invece di far rifiatare Tonkov e i suoi, li manda a pedalare fino in Brianza, sede della prossima partenza di tappa.
«Era una tappa inutile, una di quelle che se mettevano un giorno di riposo in più forse era anche meglio. Martedì 30 maggio 2000 si corse la sedicesima tappa dell’83esimo Giro D’Italia, la Brescia – Meda, che definire una frazione di trasferimento è un complimento: 102 chilometri talmente piatti che anche i cavalcavia si vergognavano di esistere. Ma quel giorno qualcosa è successo, una piccola scintilla è scattata nella testa di un giovane 15enne tornato in fretta e furia da scuola proprio perché la corsa rosa passava sullo stradone dietro casa sua. A Palazzolo sull’Oglio, su un’ampia strada provinciale che delimita i nuovi quartieri residenziali con colorate villette a schiera dalla grigia zona industriale. Già vedere quella lingua d’asfalto libera dal traffico frenetico di macchine e camion era un evento più unico che raro, ma vederci sfrecciare la maglia rosa sarebbe stato assolutamente memorabile. Forse è proprio raggiungendo il ciglio della carreggiata, stracolmo di erbacce incolte e di rifiuti di ogni genere, che mi resi conto che forse è proprio quello il fascino del ciclismo, è lo sport che arriva da te e non viceversa, e poco importa se il teatro di questa magia sia una triste circonvallazione farcita di rotonde o i tornanti delle salite leggendarie.
Ma quello che accadde quel pomeriggio andò ben oltre le mie aspettative da adolescente svogliato e scazzato. Dopo le troppe moto della polizia e i chiassosi mezzi della carovana pubblicitaria passò veloce la consueta fuga bidone, un drappello di devoti disperati che in una tappa del genere era più un’armata brancaleone davanti a un plotone di esecuzione. La cosa strana fu vedere un singolo corridore anticipare il peloton e fermarsi alla rotatoria di viale Europa in prossimità di un gruppetto di tifosi a pochi passi da me. “É Tonkov, è Tonkov” cominciarono a urlare alcuni attempati appassionati mentre il drappello di persone salutava il ciclista con abbracci e amichevoli strette di mano. “Cazzo, è Pavel Tonkov!” pensai, quel Pavel Tonkov, il rivale del mitico Pirata nella salita di Monte Campione, e i miei occhi si illuminarono di curiosità. La curiosità poi divenne stupore quando avvicinandomi mi accorsi che insieme a Tonkov si era fermata anche una moto-cronaca della Rai, con a bordo il giornalista Auro Bulbarelli, che tante volte avevo sentito parlare durante le dirette tv del Giro d’Italia. Poi passò rapido il gruppo, compatto e colorato, e il corridore solitario si dileguò veloce in mezzo alle ammiraglie. Durò tutto pochi secondi. Giusto il tempo di farmi innamorare definitivamente di questo sport.
Col tempo appresi che il drappello di tifosi era nientepopodimeno che il Pavel Tonkov Fan Club, nato nel 1997 con sede proprio a Palazzolo sull’Oglio e capitanato da un tale Angelo Pagani, direttore di gara di corse regionali e amico personale del ciclista russo. Parlando telefonicamente con lui appresi che Bulbarelli fermandosi in quell’occasione ironizzò sul fatto che Tonkov, da lui definito mezzo bergamasco avendo vissuto per molti anni ad Albano Sant’Alessandro, avesse così tanti amici bresciani. Un modo per far rivivere anche in chiave ciclistica una controversa rivalità storico-geografica che ha trovato terreno fertile nello sport e soprattutto nel calcio. Una rivalità che Palazzolo, essendo città di confine, conosce molto bene. Quel giorno infatti poche centinaia di metri dopo quella anonima rotonda di provincia, Pavel Tonkov attraversò il ponte sul fiume Oglio, arrivando nella “sua” Bergamo.
L’arrivo di tappa visto in tv nel salotto di casa non me lo ricordo, ma scrollando l’ordine di arrivo sembra che il gruppo abbia tagliato il traguardo talmente compatto che anche le ammiraglie erano in scia del vincitore di giornata, lo spinter toscano, ora DS della Education First, Fabrizio Guidi. D’altronde era una tappa inutile».

Gianluca Suardi

Esiste veramente

Sedicesima tappa
Giro 1952: Erba – Como (ITT), 65 km ★★★☆☆
Dopo il giorno di riposo (ma non per tutti), la carovana riparte con una cronometro lungo le strade lariane, da Erba alle rive del lago di Como. Alla vigilia la bella notizia la riceve Alfredo Martini: il CT azzurro Binda lo porterà infatti al Tour con il compito di equilibrare una squadra che ha negli eterni rivali Coppi e Bartali la propria forza. Funzionerà: sarà il Tour del famoso passaggio della borraccia su Col du Telegraphe.
Al Velodromo Sinigaglia dal lato distinti l’Airone entra in trionfo tra due ali di folla, sfrecciando alla media di 42,32 km orari, piazzandosi davanti allo svizzero Koblet che chiude a 15’’, Astrua a 25” e all’altro elvetico Ferdi Kubler a 30’’. Più staccati Magni e Bartali. L’ennesimo capolavoro di un purosangue del ciclismo.

Diciassettesima tappa
Giro 1983: Bergamo – Colli San Fermo, 91 km ★★☆☆☆

Da Como ci si sposta nella vicina Bergamo, dalle rive del Lario si pedala su quelle sebine in una tappa breve ma con arrivo in salita da non sottovalutare. Prima dell’ascesa verso i Colli di San Fermo amaro epilogo per l’epica sfida tra Saronni e Moser, con lo sceriffo di Palù di Giovo che all’inizio della salita affianca Beppe e gli dice che basta, si ferma lì, le corse a tappe – dice – non fanno per lui. Ma la rivalità è solamente rimandata di un anno.
Dopo la vittoria a Campitello Matese è ancora El Galleta Fernandez che stacca tutti e trionfa con 17″ su Lucien Van Impe e 19″ su Roberto Visentini. Saronni arriva a 34″ ma resta al comando della generale.

Diciottesima tappa
Giro 1981: Borno – Dimaro, 127 km ★★☆☆☆

Si torna in Trentino via Vivione e Tonale. È all’ultimo anno in gruppo per Miguel Mari Lasa, El Lapa è il classico atleta completo quest’anno è in forza alla Zor: in carriera tanti buoni piazzamenti, vittorie di tappa in tutti i grandi giri e tante Vuelte purtroppo solo accarezzate. Una vita con sempre qualcuno più forte davanti.
Sul Vivione scollina per primo Claudio Bortolotto mentre sul Tonale tocca invece a Leonardo Natale a passare davanti a tutti con Eduardo Chozas a ruota. Sulla discesa verso la Val di Sole è la maglia rosa Contini a spingere per andarli a riprendere insieme a Baronchelli e il nostro Lasa, lasciandosi alle spalle Saronni e Battaglin. Gibì perde terreno e a Dimaro è volata a quattro con il basco di Guipúzcoa ad aggiudicarsi la tappa.

Diciannovesima tappa
Giro 2004: Giro 1980: Cles – Bormio 2000, 118 km ★★★★☆

Dalla Val di Sole alla Val di Non, il Giro riparte da Cles, ritorna al Passo del Tonale e sale al Gavia, poi discesa in Valfurva, strappo a La Motta e chiude la planata verso il traguardo, inedito, di Bormio 2000, 10 km al 7,5 %.
In casa Saeco i DS Corti e Martinelli hanno una bella gatta da pelare: partito per sbrigare il ruolo da gregario a Gibo Simoni, l’astro nascente Damiano Cunego si è ritrovato con la maglia rosa indosso e ora i ruoli sono invertiti.
Sulle prime rampe del Gavia la fuga buona la innesca Vladimir Miholjević che se ne va con Righi e Vila Errandonea verso la Cima Coppi, dal gruppo escono anche Gomis López, Rubens Bertogliati e Cristian Moreni ma è Garzelli che scatena la bagarre: dei big risponde solo Belli, il varesino va a riprendere i fuggitivi lasciandosi il gruppo maglia rosa a 1’50”, scollinando un minuto dopo il battistrada croato. Garzelli incrementa il margine di altri 40” in discesa ma sulla strada per Bormio viene riassorbito dal gruppo. Siamo ai – 17 e davanti è rimasto solo Miholjević che ha 2′ di vantaggio all’inizio dell’ultima salita. Si slacciano i caschetti e si parte: rompe gli indugi Simoni per andare a prendersi il secondo posto in generale, seguito da Emanuele Sella con Cunego che sta a stoppare i tentativi di Cioni, Gonchar e Perez Cuapio. Ai – 4 Simoni viene ripreso e ai 600 m il Piccolo Principe incrocia lo sguardo del capitano, si alza sui pedali e vola solo verso il traguardo.
I patti non erano questi.

Ventesima tappa
Giro 1994: Merano – Aprica, 188 km ★★★★★

Ultima fatica prima della passerella finale. La tappa più dura: Stelvio, Mortirolo, Aprica, Santa Cristina.
Sul Mortirolo il primo ad andarsene è Franco Vona, seguito da Bolts e Ghirotto (in bici), poi Belli e Chiappucci, Gotti e Rodriguez mentre il gruppo con Indurain e la maglia rosa Berzin è ancora lontano; mancano 50 km (e tre GPM) al traguardo quando a metà salita dal gruppo esce un certo Pantani. È giovane (ha 24 anni ma ne dimostra dieci in più), è romagnolo e ha vinto la tappa precedente con Stalle, Furcia, Erbe e Giovo. La sua è una perfetta danza sui pedali: va a riprenderli tutti, passa per primo sul Mortirolo e si butta in discesa verso Edolo con 51” su Indurain e 1’38” su Berzin. Il navarro e Cacaito Rodriguez si tuffano in discesa per andare a riprendere il ragazzo di Cesenatico che però non molla. Sul Valico di Santa Cristina passa con 2’59” Chiappucci e a3’19” su Miguelon e vola verso l’Aprica. È sbocciato un nuovo campione.

Ventunesima tappa
Giro 1961: Bormio – Milano, 214 km ★★☆☆☆
Modifiche dell’ultimo minuto per la tappa conclusiva, che non parte più dal Passo Resia passando per Nauders e St. Moritz ma sarà solo una banalissima Bormio – Milano di duecento e rotti km.
Il Giro d’Italia giunge al suo epilogo, dopo aver attraversato l’intera penisola (isole comprese): a trionfare in generale sarà Arnaldo Pambianco, imbroccando la fuga buona e respingendo gli attacchi di Anquetil e Gaul, conquistando così il suo primo (e unico) Giro senza peraltro aver vinto alcuna tappa. Sul palcoscenico del Vigorelli è Miguel Poblet a battere in volata Rik Van Looy e Dino Bruni.

 

 

— Jorge Cadete outta Lobanovski per LPC


Negli episodi precedenti:
s05 Liège-Bastogne-Liège
s04 Flèche Wallonne
s03 Amstel Gold Race
s02 Paris — Roubaix
s01 Ronde van Vlaanderen

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